“Teoria e pratica dell’impotenza maschile”, di Sigismondo Freddi

trauma1E’ una mania recentemente invalsa, quella di dare a opere narrative dei titoli che, più o meno esplicitamente, evocano forme manualistiche trattatistiche o comunque immaginari di tipo scientifico: lasciando stare il troppo celebre La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, possiamo citare Tentativi di botanica degli affetti di Beatrice Masini, Manuale di sopravvivenza per ragazze in crisi (economica) di Sara Lorenzini (Neve Morante), Manuale per ragazze di successo, di Paolo Cognetti, Il libro di tutte le cose di Guus Kuijer; fino al caso estremo di Mio salmone domestico. Manuale per la costruzione di un mondo, completo di tavole per esercitazioni a casa di Emanuela Carbé (opera, sia detto tra parentesi, piacevolissima: ma poiché è reperibile sul mercato, non mi ci soffermerò), oltre il quale resterebbe da immaginare solo una trilogia composta da Elementi, Fondamenti (o Principi) e Complementi di una qualunque cosa. Se una qualche originalità ha il titolo del romanzo di Sigismondo Freddi Teoria e pratica dell’impotenza maschile, essa sta nell’idea che di un qualche cosa che solitamente accade, ed è universalmente considerato nefasto, si possano dare una “teoria” e una “pratica”.

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“Manuale di seduzione per maschi timidi”, di Lucio Gnoli

luciognoli[In questo articolo Ennio Bissolati è interpretato da Fiammetta Palpati]

Recapitatomi brevi manu, attraverso la portiera del mio stabile qualche giorno prima di capodanno questo volumetto di Lucio Gnoli, e immediatamente impilato tra quelli da rifilare agli aspiranti scrittori particolarmente molesti (una certa qual misura di recare molestia deve essere considerata funzionale in chi aspira ad esser, se non notato, almeno letto) ho deciso di riprenderlo in mano oggi, non senza raccapriccio, mancando pochi giorni alla festa di San Valentino. Che possa tornare di una qualche utilità a chi si procura di continuare la specie con intimo diletto.

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“Un quarto d’ora di anonimato”, di Has Fidanken

hasNon si può dire che il tema sia nuovo: tutti abbiamo letto, da ragazzini, in versioni più o meno sgraziatamente adattate o ridotte, almeno Il principe e il povero di Mark Twain, storia di un principe fanciullo che vuole per un giorno giocare a fare il povero e di un fanciullo povero che vuole per un giorno giocare a fare il principe (ovviamente il gioco avrà, ben oltre l’immaginazione dei due fanciulli, sviluppi tragico-patetici e finale consolatorio), o almeno l’autoparodia di questa stessa avventura inserita dallo stesso Twain all’interno di Un americano alla corte di re Artù (il protagonista Hank Morgan, intraprendente americano – del Connecticut, perfino – del tutto casualmente finito nei luoghi e nei tempi arturiani, convince il re a travestirsi da comune borghese per conoscere da vicino il proprio regno; seguiranno sviluppi tragico-patetici e finale consolatorio, c.s.); per tacere del film a episodi Il tifoso, l’arbitro e il calciatore, e in particolare l’episodio Il tifoso, protagonista un Pippo Franco figlio di padre romanistissimo nonché innamorato (Pippo, non il padre) della figlia di un padre lazialissimo, e pertanto costretto (letteralmente) a continui cambi di casacca che lo conducono (inevitabilmente) all’errore e all’equivoco e ad avventure tragicomico-patetiche destinate (lo immaginavate?) a un finale consolatorio. Il tema non è nuovo, dunque. Ma, per quello che il vostro bibliofilo ne sa, è la prima volta che càpita a un cane.

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“Prontuario di teologia dei nani da giardino (con esorcismi), di Babà Balthasar

[In questo articolo Ennio Bissolati è interpretato da Eve Dietmann].

balthazarLa sperimentazione letteraria che da sempre caratterizza la produzione del Balthasar si ritrova puntuale anche in questo libercolo a metà strada tra un romanzo breve, un racconto lungo, un prontuario vero e proprio e un numero della Settimana enigmistica. Quest’opera s’inserisce infatti nella scia delle precedenti fatiche dell’autore, tra le quali ci piace ricordare Guida alla logica della coltivazione dei cavoletti di Bruxelles, uscito nel 2010 sempre per i tipi di Sàmpolo e diventato in poche settimane il volume più venduto di sempre nella storia della casa editrice di Castelvecchio di Rocca Barbena, avendo cioè venduto 30 copie (il nostro giura e spergiura da sempre di non avere alcuna relazione di parentela con alcuno dei 30 acquirenti del libro succitato).

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“The Marvellous Adventures of Farlock Holmes”, di Conan Boyle

conanboylePer quanto la nostra ammirazione per Georges Perec sia sconfinata, non si può fare a meno di notare che le sue opere (ciascuna radicalmente diversa dall’altra) hanno generato (del tutto involontariamente: Perec non imitava nemmeno sé stesso, figuriàmoci se pensava che ad altri potesse venire in mente di imitare lui) una quantità sterminata di imitatori, pedissequi dove Perec era libertario, pedanti dove Perec era brillante, moralisti (in senso formale, naturalmente) dove Perec era disinibito. A questa genia appartiene, senza lode e senza merito, la persona che si nasconde sotto il per nulla originale nomignolo di Conan Boyle, che in The Marvellous Adventure of Farlock Holmes non ha raccolto altro che una serie di racconti con protagonista il cugino scemo (idiot cousin) del ben più noto Sherlock. Ciò che dovrebbe (dovrebbe, eh!: ché tra il volere e il riuscire c’è di mezzo il mire – sarebbe il mare, ma era per fare la rima) divertire il lettore è la lingua impiegata da Conan Boyle. Che non è l’inglese, essendo Conan Boyle (se dobbiamo dare alla nota biografica in bandella un credito maggiore che al nomignolo) di Venegazzù, frazione di Volpago del Montello, in provincia di Treviso (luoghi naturalisticamente incantevoli, sia deto en passant). Bensì qualcosa a metà strada tra l’itangliano, l’anglo-trevigiano e l’ostretrico (= “linguaggio parlato da chi cerca di convincere le ostriche ad aprirsi di loro spontanea volontà”: Boyle dixit, nella postfazione).

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“L’angoscia dell’incontinenza”, di Roldah M’Bolo

roldahmboloNon c’è manuale o prontuario o ricettario di scrittura creativa che non dedichi un capitolo o paragrafo o capoverso al temuto temibile temibilissimo blocco dello scrittore: a quella condizione, cioè, piuttosto curiosa, nella quale si trova chi vorrebbe tanto scrivere, ma davvero tanto, eppure si ritrova davanti alla pagina bianca (che ormai è una pagina digitale, si sa: ma fa tanto nobile, fa tanto colto e cult, fa tanto Mallarmé parlare di “pagina bianca” ed eventualmente scrivere di nient’altro che della pagina bianca, fare riferimento alla “scrittura del silenzio”, eccetera) e lì si ferma, incapace di scrivere una sola riga – o una sola riga soddisfacente. Per carità: il più delle volte tale “blocco” (come spiega assai felicemente in questo articolo Amleto De Silva – fratello del più celebre Diego, e noto collezionista di boules à neige) non è altro che un blocco sociale: c’è chi s’immagina che scrivere (verbo usato intransitivamente, mai – è ovvio – nella locuzione “scrivere una certa cosa”, che dissolverebbe all’istante ogni qualsivoglia possibilità di compiacersi del “blocco”: rem tene, verba sequentur, ovvero: hai voluto la bicicletta, ora pedala) sia un’attività spiritualmente elevata, il cui puro e semplice esercizio dovrebbe portare lo scrittore in un empireo socioculturale inimmaginabile: e così, davanti alla pagina bianca, si blocca come si bloccherebbe sulla soglia un Bissolati qualsiasi, invitato a una festa, nel momento in cui si accorge di aver sbagliato l’abito (troppo formale per una festa che è più che altro una rimpatriata di vecchi amici del college, troppo poco formale per una festa alla quale sono invitati anche i futuri e magnati suoceri dell’invitante, ecc.).

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“Una scomposta decomposizione”, di Teresio Isidro

teresio_isidro_deposizioneNon so se la giovane (questo è il primo volume dato alle stampe) e coraggiosa (questo è un volume, oggi come oggi, praticamente invendibile) editrice barcellonese Dina Lampa abbia voluto alludere, con l’immagine scelta per la copertina di Una scomposta deposizione dello scrittore porteño Teresio Isidro (un’opera di Adriaen Coorte, pittore olandese vissuto a cavallo tra Sei e Settecento), all’immortale capolavoro di Achille Campanile Asparagi e immortalità dell’anima. Fatto sta che il romanzo, inserendosi nella ben nota tradizione sudamericana del romanzo postumo (il cui capolavoro riconosciuto è Memorie dell’aldilà del brasiliano Joaquim Maria Machado de Assis), della morte parla e non d’altro.

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